Mi stavo chiedendo a proposito del primo principio della termodinamica , in pratica se un sistema è isolato , l'equivalenza tra calore e lavoro è una trasformazione di energia , da una forma ad un altra , ma che non si può creare(aggiungere) né distruggere(diminuire) ....
Qui, per la verità, hai fatto diverse domande in un colpo solo.
Provo a risponderti sinteticamente.
La tua definizione di sistema isolato è corretta. In un sistema isolato tutti gli scambi di energia avvengono all'interno del sistema. Cioè sono scambi di energia tra una sua parte e le altre.
Un sistema perfettamente isolato non è ovviamente osservabile in natura. Però, in laboratorio, riesci a crearne ottime approssimazioni. Un buon contenitore adiabatico (in pratica un thermos con pareti veramente isolanti) impedisce ogni significativo scambio di calore con l'esterno. Un sistema racchiuso al suo interno è termicamente isolato. Una ridistribuzione di energia al suo interno produce solo un aumento della pressione dato che il volume del contenitore è fisso e il sistema non può espandersi. Se si espandesse, la pressione produrrebbe lavoro verso l'esterno, il che equivarrebbe ad uno cambio di energia con l'esterno.
L'approssimazione è buona. In un buon contenitore da laboratorio occorrono giorni o settimane per osservare perdite di energia apprezzabili. Se le tue misure sono effettuate su tempi limitati, diciamo di un'ora, assumere che il tuo sistema sia isolato su quei tempi è sicuramente una buona approssimazione.
L'unico sistema perfettamente isolato che esiste in natura è l'Universo. E' isolato per definizione. O l'Universo rispecchia perfettamente ciò che il suo nome vorrebbe dire, cioè non esiste altro al di fuori dell'Universo, per cui non c'è un altro sistema con cui scambiare energia. Oppure, esiste qualcosa al di fuori dell'Universo, ma questo qualcosa è posto a distanze tali che nemmeno la luce proveniente da quegli ipotetici luoghi riesce a raggiungere l'Universo che noi osserviamo. Il che vuol dire che l'Universo che osserviamo non riesce a scambiare energia con ciò che noi non osserviamo. Se guardi bene, è una maniera diversa per dire che l'Universo che osserviamo è comunque un sistema perettamente isolato.
Quando si parla di singolarità si vuol dire semplicemente che le equazioni producono degli infiniti, che non sono ovviamente fisicamente accettabili. Se ragioniamo in termini di Relatività, il momento del Big Bang implica, ad esempio, una densità infinita. Una massa enorme ma finita racchiusa in un volume di dimensioni nulle. La comparsa di una singolarità, significa semplicemente che la teoria non funziona più in quelle condizioni.
Non serve la relatività per osservare singolarità. Anche la gravitazione di Newton produce singolarità. La forza di attrazione tra due masse scala con l'inverso del quadrato della distanza. Se la distanza diviene zero, la forza diviene infinita. E la stessa cosa avviene con l'equazione di Coulomb e con molte altre cose. Tutte le teorie hanno un limite di validità. Tornando alla singolarità di cui parlavi tu, quella relativa al Big Bang, la sua esistenza non significa che la Fisica non possa ragionare su ciò che avviene in quelle condizioni. Significa solo che la Relatività cessa di essere una buona approssimazione. Devi ricorrere alla Meccanica Quantistica e a tutti gli altri formalismi ad essa correlati. Il che dovrebbe anche essere ovvio. Avvicinandoci al momento del Big Bang, le dimensioni dell'Universo divengono sempre più piccole per cui le descrizioni macroscopiche non possono più essere buone approssimazioni e sei costretto a ricorrere a descrizioni microscopiche.
Ad esempio, in quelle condizioni tu non puoi più parlare di misurare la distanza tra due punti, come dicevi tu. Semplicemente perchè questo diviene un concetto privo di significato. E priva di significato diviene anche la Relatività. Sei costretto a ragionare ad un livello diverso. Se ti forzi ad utilizzare le teorie fuori dai loro limiti di validità, ovviamente produci errori o non-sensi. E questo è ciò che tu stai facendo nei ragionamenti che hai postato. Stai adottando concetti macroscopici, come la distanza, in contesti microscopici dove questi non hanno più alcun significato. Se tu adottassi l'approccio corretto, quello micorscopico, tutto tornerebbe ad essere consistente. Ad esempio, scopriresti che dire che l'Universo si riduce ad un punto è un non-senso. Conosceresti posizione e velocità di tutte le particelle esistenti volando quello che è noto come principio di indeterminazione. Quando capisci questo dettaglio, risolvi anche il problema della singolarità individuate con la relatività. Racchiudere tutto l'Universo in un punto non solo fa divenire infinita la densità ma, se uno ci riflette su per bene, scopre che per farlo occorrerebbe un'energia infinita. Ma l'energia dell'Universo è finita per cui quel punto non potrà mai essere raggiunto. Così ti accorgi che il passaggio dalla descrizione macroscopica a quella microscopica viene individuato univocamente sia dalla Meccanica Relativistica che da quella quantistica. Non c'è un cambio di prospettiva arbitrario. Quelle che sembrano due teorie distanti ed incompatibili ti dicono entrambe e coerentemente l'una con l'altra quale sia il momento in cui devi cambiare il tuo livello di osservazione e di descrizione.
Ho cercato di essere sintetico, sperando di essere riuscito a chiarirti, almeno in parte, i dubbi.