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Linguaggio scientifico e ambiguità.

La scienza di cui vuoi parlare non rientra fra quelle prima proposte? Scrivi qui, basta che sia scienza!
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Aspie96
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Re: Linguaggio scientifico e ambiguità.

Messaggio da Aspie96 » 19/12/2014, 16:54

In questo caso intendevo che ci sarà sempre qualcuno talmente scemo da interpretare male la frase, ma è possibile esprimerla in modo che questo avvenga il minor numero possibile di volte.
ertimidone
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Re: Linguaggio scientifico e ambiguità.

Messaggio da ertimidone » 27/01/2015, 13:59

Mumble mumble , aspiosa la faccenda :-D
Bene bene ...
dalla vita solo il meglio :-)
francesco.aliotta
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Re: Linguaggio scientifico e ambiguità.

Messaggio da francesco.aliotta » 27/01/2015, 17:07

ertimidone ha scritto: aspiosa la faccenda

Probabilmente è più "aspiosa" di quanto potrebbe apparire a prima vista.
Il problema non ha a che vedere con il tentativo, necessariamente approssimato, di esprimere a parole un concetto scientifico che richiederebbe la matematica per poter essere totalmente disambiguo. Il problema ha a che vedere con il linguaggio in generale (e la matematica non è altro che un linguaggio). Quindi non ha a che vedere solo con ciò che una proposizione "letteralmente" dice ma anche con ciò che chi l'ha formulata pensava di voler dire e con ciò che chi la recepisce ritiene che il formulante volesse dire. Questa doppia interpretazione, inevitabile nel processo, rende praticamente impossibile un metodo "a prova di idiota", cosa che Aspie9 sembra invece ritenere possibile, almeno dopo un processo reiterato. Paradossalmente, avviene spesso che l'"idiota" non fraintenda mentre il "non idiota" cade nel fraintendimento. Questo è ciò che intendevo quando parlavo di scambio di informazioni tra due pensanti (quindi "non-idioti") muniti di differenti "bagagli di conoscenza precostituiti". Il problema ha a che vedere con il fatto che l'interpretazione di una proposizione è sempre un processo che mette in gioco un metalinguaggio. Cioè tira in ballo gli aspetti filosofici dell'argomento trattato, che trascendono l'espressione letterale. Speravo che si accendesse un minimo di discussione che sarebbe stata utile per sviscerare meglio molte delle discussioni aperte, non ultima quella che si intitola "L'utilità della Filosofia oggi". Il che ci porterebbe intanto a formulare una definizione condivisa di "Filosofia". Comunque, l'argomento è sempre aperto. Vedremo se, nel tempo, virerà verso una discussione veramente stimolante.

Faccio un esempio, apparentemente fuori tema, ma che ci riporta immediatamente a molte delle discussioni aperte in questo forum. Parlando di Fisica, molti sono affascinati dagli argomenti connessi alla relatività. Il che vuol dire che trovano qualcosa di "intrigante" nell'argomento. Ma, "intrigante" vuol dire "qualcosa al di fuori del senso comune" o vuol dire qualcosa di più profondo? Quello che c'è di veramente intrigante nella relatività è la rimozione del concetto di etere, che è un concetto aristotelico. E se abbiamo dovuto attendere il XX secolo per riuscire a rimuovere questo concetto ciò è avvenuto perché certamente, al di fuori di ciò che noi diamo per scontato, Aristotele non ha mai detto sciocchezze. Quindi, una discussione sulla relatività può essere condotta su due piani. Incredibilmente, il piano più semplice è quello che richiede l'uso della matematica. Buttiamo giù formule deducendole a partire da principi primi, come nella dimostrazione di un teorema matematico, e ciò che dicono le formule è chiaro universalmente. Chiunque le può utilizzare per fare le sue previsioni e, se ha fatto tutto correttamente, troverà gli stessi risultati di chiunque altro. Ma se ci spostiamo nel piano della descrizione verbale della teoria, immancabilmente ci ritroviamo a discutere sul significato della teoria. E questa è una discussione filosofica. E nessuno potrà mai afferrare in pieno il pensiero di Einstein se prima non avrà afferrato in pieno il pensiero di Aristotele. Il che significa essere riusciti a mettersi nei panni di Aristotele, essere riusciti a cancellare dalla nostra mente quanto abbiamo appreso, e diventare noi stessi un po' Aristotele per riuscire a ripetere il suo percorso logico. Perché il concetto di etere scaturisce da un ragionamento rigorosamente logico e non è tirato fuori dal nulla. Se non ho fatto mio il pensiero logico di Aristotele non potrò mai veramente comprendere né apprezzare le critiche di Einstein né, tanto meno, il suo nuovo ragionamento logico. Ed ecco il succo del discorso. I fraintendimenti sono dovuti ai diversi bagagli culturali. Se il mio interlocutore non sa nulla o sa molto poco di Aristotele, io potrò provare a dirgli ciò che la relatività dice letteralmente, nulla di più. Per scambiare informazioni sul significato della relatività dobbiamo entrambi essere in grado di individuare chi siano gli uomini Aristotele e Einstein, quali siano state le società in cui sono vissuti e quali siano stati i contesti culturali entro cui hanno maturato le loro idee. E sto, evidentemente, semplificando il problema. Tra Aristotele ed Einstein ci stanno 2300 anni! Il che significa che ci stanno più di due millenni di cambiamenti sociali e almeno un'ottantina di generazioni di uomini che, con le loro riflessioni, hanno preparato la strada ad Einstein. Se non vediamo chiaramente tutto ciò, ogni nostra interpretazione è fatta con i nostri occhi. Quindi difficilmente porterà a dare alle cose lo stesso significato dato loro da Aristotele e da Einstein, e difficilmente produrremo interpretazioni coerenti tra loro poiché l'interpretazione, in mancanza di conoscenza, non può che essere arbitraria (almeno in buona parte). In sintesi, senza Filosofia non si fa Fisica. La Fisica, in definitiva, è Filosofia!
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Aspie96
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Re: Linguaggio scientifico e ambiguità.

Messaggio da Aspie96 » 27/01/2015, 21:05

francesco.aliotta ha scritto:Questa doppia interpretazione, inevitabile nel processo, rende praticamente impossibile un metodo "a prova di idiota", cosa che Aspie9 sembra invece ritenere possibile, almeno dopo un processo reiterato.

Non la ritengo possibile.
È chiaro che se i due membri della comunicazioni sono degli idioti (o, ancora peggio forse, è idiota uno solo dei due), è probabile che nascano malintesi.

francesco.aliotta ha scritto:Cioè tira in ballo gli aspetti filosofici dell'argomento trattato, che trascendono l'espressione letterale.

Aspetti che andrebbero evitati se fosse possibile.
È ovviamente un'utopia.

francesco.aliotta ha scritto:Incredibilmente, il piano più semplice è quello che richiede l'uso della matematica.

Credo che molti non sarebbero d'accordo.
Secondo il mio parere personale, l'aspetto matematico è più facile, ma più complicato, mentre quello filosofico è più difficile, ma più semplice.

Diciamo che, però, come noi rappresentiamo le cose e come esse sono sono concetti diversi.
Io non posso certo entrare nella mente di Einstein (e non perché si tratta di una mente geniale. Non posso nemmeno entrare nella mente del panettiere del mio paese, perché non sono io), né conosco il contesto sociale in cui è vissuto.
Ma non vedo perché questo dovrebbe ostacolare la comprensione di una teoria. Non so come sia stata nella mente di Einstein, ma posso comunque capire, attraverso lo studio, realtà sul funzionamento dell'universo (che sono ciò che Einstein ha effettivamente comunicato).

Porto la questione su un piano più semplice con un esempio che riguarda me e non Einstein.
Mi è accaduto (tralasciamo le motivazioni) di studiare a memoria ottanta cifre di pi greco. Non sono neanche tante.
Ora, il fatto è questo: quando le ricordo, oltre alla ventesima cifra, mi metto a pensare a delle immagini o, perfino, volo tra le cifre in maniera sinestentica. Ma se sto scrivendo le cifre e qualcuno le leggerà, esse sono le primissime cifre di pi greco, ossia quello che ho comunicato dicendole.

Noi siamo scatole nere.
Ciò che accade nella nostra mente non può essere visto direttamente dall'esterno.
Ma, tramite il linguaggio, forniamo un'interfaccia ad altre persone (ed in alcuni casi non solo le persone).
Se questa interfaccia è standardizzata si può avere una comunicazione formale anche senza una completa comprensione i alcuni elementi, in quanto si tratterebbe di elementi non trasmessi.
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Re: Linguaggio scientifico e ambiguità.

Messaggio da francesco.aliotta » 30/01/2015, 15:35

Aspie96 ha scritto
Ma non vedo perché questo dovrebbe ostacolare la comprensione di una teoria. Non so come sia stata nella mente di Einstein, ma posso comunque capire, attraverso lo studio, realtà sul funzionamento dell'universo (che sono ciò che Einstein ha effettivamente comunicato).


Questa frase mette in luce il problema più di quanto possa apparire. Premetto che quando parlo di dover cercare di pensare come Einstein o come Aristotele, non sto certamente suggerendo di tentare di indovinare i loro più reconditi pensieri. Semplicemente, sto suggerendo che occorrerebbe cercare di affrontare il problema dalla loro prospettiva, che non potrà mai essere la prospettiva di chi li legge in un futuro lontano dal loro tempo. Poi, non è del tutto corretto cercare di capirli partendo dal presupposto che ciò che essi dicono sia qualcosa che ha a che vedere con realtà nel funzionamento dell'Universo. Nessuna teoria parla mai di realtà. Ogni teoria descrive semplicemente un modello. Il modello è utile perché fornisce delle previsioni verificabili. Le verifiche avvengono nel mondo reale, ma le previsioni sono fatte solo all'interno di un modello. E non potremo mai asserire con certezza che il modello è veramente conforme alla realtà. Per rendersi conto di ciò è sufficiente tornare ad Aristotele e ai suoi sillogismi. Aristotele si era reso conto perfettamente di questo problema. Ad esempio si è reso conto che una catena di sillogismi del tipo: 1) A implica B; 2) B è vero; 3) allora A è vero, è un costrutto basato su una logica errata. E' una cosa che può apparire ovvia ma che implica una curiosa asimmetria nelle catene dei sillogismi, dipendendo dal valore di verità del riferimento. Ad esempio, il sillogismo: 1) A implica B; 2) B è falso; 3) allora A è falso, potrebbe apparire identico al primo sillogismo che ti ho proposto. Ma, se lo guardi bene, ti accorgi che il secondo sillogismo è logicamente corretto. Cos'aveva scoperto Aristotele? Aveva scoperto un fatto ovvio. Nessuna teoria scientifica potrà mai essere verificata, per quanto possa essere enorme il numero di prove raccolte in suo favore. Ma ogni teoria scientifica può facilmente essere falsificata: basta raccogliere un'unica prova contro di essa. Questo per spiegare perchè non abbia ha senso dire che Einstein o chiunque altro abbia mai fatto affermazioni sulla realtà dell'Universo. Lui può anche averlo creduto e probabilmente lo ha fatto, altrimenti non si comprenderebbe il suo rifiuto della Meccanica Quantistica. Ma in questo ha certamente errato. Ma questo errore ha a che fare con la sua interpretazione della Fisica, non con ciò che la sua teoria, oggettivamente dice. E ciò che la sua teoria dice è: l'ipotesi aristotelica dell'etere è errata. E poi dimostra perchè sia errata. E lo fà, nuovamente, con una catena di sillogismi. La teoria della Relatività dice quello che dice perché è stata formulata da un pensatore che credeva fermamente nel determinismo della Meccanica Classica e che quindi, in definitiva, era un aristotelico. Semplificando, la teoria della relatività è il risultato del pensiero di un aristotelico che si è trovato a dover dimostrare che il pensiero di Aristotele (e quindi il suo sino a quel momento) era fondato su un errore logico nascosto. Quello che volevo dire era semplicemente questo: se non riesci a calarti in quello che è stato il vero percorso logico non potrai mai apprezzare sino in fondo l'eleganza del pensiero di Einstein. Ma purtroppo accadrà un'altra cosa, che accade ripetutamente quando si legge un testo divulgativo su qualche teoria. Accadrà che dalle parole lette trasparirà ciò che l'autore pensa che la sua teoria dica. E se l'autore pensa minimamente che la sua teoria dice la verità, questo sarà il concetto che arriverà al lettore. Purtroppo, la parte più interessante, ciò che la teoria oggettivamente dice e il vero motivo del perchè la teoria è stata formulata, non arriverà mai al lettore. Ecco perchè mi ostino sempre a dire che bisogna sempre rifuggire dalle interpretazioni sino a quando non si sono compresi tutti i dettagli della teoria, inclusa la sua storia. Solo quando questa base di conoscenza sarà acquisita potrà avere un senso discutere sul significato della teoria. Ed anche in questa situazione, occorrerà sempre farlo con cautela. Ognuno di noi deve sempre tener presente di essere affetto da preconcetti: è inevitabile. E ognuno di noi deve essere sempre conscio che riconoscere i propri preconcetti è un compito estremamente arduo nel quale spessissimo ci capiterà di fallire.
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Kimmy90
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Re: Linguaggio scientifico e ambiguità.

Messaggio da Kimmy90 » 23/02/2015, 20:07

francesco.aliotta ha scritto:
Aspie96 ha scritto:
In genere si spiega il concetto in altre parole se avviene una incomprensione.


Questo avviene quando si parla o quando ci si scambiano messaggi, come su questo forum. E' normale che avvengano incomprensioni, ma lo scambio di informazioni, prima o poi, porterà ad un comprensione (è solo questione di tempo).
Ma noi parlavamo di ciò che avviene con un libro. Un libro (o una pubblicazione, in generale) è un mezzo di comunicazione unidirezionale. L'autore scrive quello che scrive una volta per tutte. Il resto del lavoro deve farlo il lettore.


Personalmente credo che questo sia il motivo per cui (grazieaddio, che ci sia o non ci sia) serviranno sempre gli insegnanti (che non facciano solo una lezione frontale, ma con cui sia possibile instaurare un dialogo. E anche qui grazieaddio non mancano). Servirà sempre rivedere i testi, adattarli, e servirà sempre consultare più testi per poter vedere la cosa da diversi punti di vista per poter crearsi la propria immagine mentale...
la comunicazione è una questione difficile. Tutto sommato, se comparato ad altri linguaggi (come quello filosofico), quello scientifico tenta di essere dei più rigorosi.

Per quanto riguarda la questione in sé... è molto delicata, non so come tu abbia fatto a dare una risposta che non fosse delle dimensioni della "piccola idea" di Bohr sull'atomo! [parlo della sua "trilogia"... :D]
Ci sono vari punti da sottolineare.

1) gli stessi concetti possono essere espressi, anche in un linguaggio formale come quello matematico, facendo uso di due o più "formalismi" diversi. E, seppure fra le due spiegazioni sussita e sia dimostrabile un "isomorfismo", il cervello umano raramente riesce a vederlo a colpo d'occhio. Si potrebbe riassumere in "siamo stupidi", ma per me è più un "siamo poliedrici e fantasiosi". In fondo, siamo noi che ci siamo inventati i suddetti formalismi!

2) osservare è una operazione delicata. Nulla è isolato, quindi, è già un miracolo che si giunga alle stesse conclusioni. Riportare poi le informazioni è ancora più delicato. Che si formulino spiegazioni diverse dello stesso fenomeno che "alla fine vogliono dire la stessa cosa, ma anche no", è imho dovuto al fatto che persone diverse si concentrano su aspetti diversi. A volte si vuole sottolineare un aspetto del fenomeno, o della legge, piuttosto di un altro. Ancora peggio, a volte si vuole formulare una cosa in modo "semplice", uccidendone la complessità e nascondendo sotto il tappeto cose fondamentali come ipotesi di lavoro, semplificazioni, interi dizionari per poter dare una sola frase a rappresentazione di un'enorme classe di fatti/problemi. Ogni autore fa le sue scelte, e molti sbagliano. Il problema è che la platea è ampia e le conoscenze pregresse non sono uguali per tutti. Non penso che esista un testo che vada bene per tutti, a meno di non uniformare l'istruzione scolastica. Il che, oltre che impossibile, è una bella bestemmia.
L'elasticità mentale è il nostro punto di forza, e si "paga" con la molteplice sfaccettatura che possono assumere i concetti.

3)La fatica che una persona fa nel comprendere un concetto è quella che lo porta ad assimilarlo ed appropriarsene. Tolto quello, rimangono le nozioni. Che per alcuni sono più facili da imparare, forse anche per molti, ma portano ad un appiattimento che uccide sia la curiosità che la conoscenza stessa. Sono sterili. Anche se la dimostrazione logico formale tiene, in fondo, viene da chiedersi che senso abbia impararla. A me è successo per analisi 1. E invece no, la materia scientifica non è sterile, poiché è umana: ci sono badilate di umanistica nelle scienze. Ignorarle è da sciocchi, aggirarle è da ingegneri (senza nulla togliere agli ingegneri) – ok il pragmatismo, ma senza esagere. Le interpretazioni sbagliate saranno sempre possibili, a meno che uno non dia una formula in mano a una persona e dica "taci e calcola". (anche lì, non c'è peraltro graranzia di capirsi a pieno a pieno... un esempio sciocco è la *per niente consolidata* notazione dei commutatori e delle parentesi di poisson.) . L'importante è rendersene conto, a parer mio, e prestare molta attenzione alla complessità ed umanità della materia trattata.
francesco.aliotta
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Re: Linguaggio scientifico e ambiguità.

Messaggio da francesco.aliotta » 27/02/2015, 18:55

Kimmy90
Per quanto riguarda la questione in sé... è molto delicata, non so come tu abbia fatto a dare una risposta che non fosse delle dimensioni della "piccola idea" di Bohr sull'atomo! [parlo della sua "trilogia"... :D]
Ci sono vari punti da sottolineare.


Ovviamente la risposta non è stata brevissima. Per la verità non può nemmeno definirsi una vera risposta. Almeno no, nel senso letterale della parola risposta.
Diciamo piuttosto che ho provato ad instaurare un dialogo sul contenuto letterale della domanda che mi era stata posta (quella che è quotata nel post di avvio di questa discussione).
Quello che ho fatto è stato analizzare la logica della domanda dando, di volta in volta, le possibili interpretazioni della lettera della domanda.
Direi che sono riuscito a far dire agli studenti stessi che la loro domanda era mal posta. Nel senso che sono riuscito a far trovare ad essi stessi le ambiguità nascoste nella loro domanda.
Il che ha reso evidente come le ambiguità nascano immediatamente se uno usa le parole (non è indispensabile la matematica) senza aver prima stabilito un uso rigoroso e condiviso delle parole cruciali.
E così loro hanno trovato da soli una risposta plausibile.

Ora, non ti racconto in questo momento lo svolgimento del dialogo che non è certamente una trilogia ma non è nemmeno breve.

Provo solo a rispondere ad alcuni dei tuoi commenti o osservazioni.
Prima di tutto occorre chiarire meglio le premesse del discorso. Parlavamo di una collezione di studenti dei primi anni estremamente eterogenea. La domanda si riferiva a libri che loro hanno definito "libri per studenti" ma che, ovviamente, erano solo delle letture consigliate di testi divulgativi. Tant'è che parlavano di testi in cui le teorie sono espresse a parole, non in termini matematici.
Quindi, il problema riguarda la comprensione, da parte di un non esperto, di un testo divulgativo, anche di buon livello.

Ora, io sono d'accordo con quanto tu hai scritto se parliamo di un testo didattico specialistico.
Ad esempio, se scrivo un testo di elettromagnetismo per gli studenti di Fisica io conosco in partenza quali saranno le loro conoscenze di base (sia di Fisica che di Matematica) nel momento in cui intraprenderanno lo studio di quel testo. Il mio testo non sarà un testo divulgativo ma sarà piuttosto un manuale specialistico. Il mio compito è relativamente facile: io so cosa sanno i lettori che si accingono a leggere il libro. Se loro non sanno ciò che si presuppone che sappiano è un loro problema. Hanno sbagliato la loro pianificazione del loro programma di apprendimento. Se non se ne rendono conto è meglio che cambino corso di studi!
Ma se sono arrivati alla lettura adeguatamente preparati non dovrebbero esserci problemi (a meno che io non abbia scritto un testo pessimo). E' vero ciò che dici riguardo al ruolo del docente. Tutto ciò che hai detto è indubbio.Ma devo dirti che a volte un buon testo riesce a supplire le possibili mancanze del docente.

Il problema di scrivere un testo divulgativo è estremamente più complesso. Il tuo lettore ti è ignoto. Il tuo lettore può essere un curioso, può essere intelligentissimo ma può essere al contempo totalmente o quasi digiuno di Matematica e Fisica.
Ora, la difficoltà non è quella di non poter utilizzare la Matematica. Se hai compreso veramente un concetto puoi esporlo adeguatamente anche a parole. Probabilmente ti ci vorranno molte parole per esprimere un concetto che la Matematica riesce a sintetizzare in un paio di equazioni. Ma non è questa la vera difficoltà.
La difficoltà viene dal significato che tu dai alle parole e che può essere interpretato in maniera diversa da chi ti legge. Perché chi ti legge non sa molto di Matematica e Fisica e quindi da alle parole un significato generale mentre tu, in maniera più o meno conscia, dai alle stesse un significato contestuale.
Un buon testo divulgativo dovrebbe, secondo me, essere scritto dopo che lo scrittore ha provato a far tabula rasa dei concetti che per lui sono ormai ovvi. Quindi, una buona parte del testo dovrebbe essere dedicata alla definizione chiara ed univoca delle parole mutuate dal linguaggio usuale ma utilizzate in maniera contestuale. Il linguaggio, se scrivo in Italiano, è solo apparentemente l'Italiano. E' in realtà la traduzione in Italiano di un linguaggio matematico.

Per chiarirti cosa voglio dire e qual era il vero topic a cui volevo dare vita, possiamo riferirci all'argomento che tu hai riportato all'interno di questo forum: quello sui Quanti e gli Ornitorinchi.
E' ovvio che l'esempio dell'Ornitorinco può apparire intrigante. La verità è che è comprensibile solo a chi già sa cosa dice la Meccanica Quantistica. Ma è anche vero che per chi ha compreso la MQ l'esempio dell'Ornitorinco è del tutto inutile. L'esempio è stato utilizzato per spiegare concetti di MQ a chi non sa nulla di MQ. E probabilmente non sa molto di Fisica, in generale. In questo contesto, l'esempio dell'Ornitorinco fallisce miseramente. Anzi, crea un'informazione errata! Prova tu a cancellare dalla tua mente ciò che sai della MQ. Non ne dedurresti che il tuo oggetto quantistico possieda un'esistenza oggettiva anche in assenza di osservazioni? Non ne dedurresti il concetto che l'elettrone, ad esempio, è veramente un oggetto che possiede sia le caratteristiche dell'onda che quelle della particella? Non faresti confusione tra i risultati del processo di misura e le proprietà dell'elettrone in assenza di interazione?
Alternativamente, non troveresti invece più semplice il proporre il concetto che l'elettrone, in assenza di misura, è solo un modello mentale che racchiude tutte le informazioni che tu hai sull'elettrone in assenza di ogni interazione e che, pertanto, si conservano? Mentre l'elettrone osservato è il solo oggetto a cui puoi ascrivere un livello di esistenza reale, cioè all'interno dell'Universo Osservabile?
Ecco perché ho detto che l'uso di una metafora in una spiegazione divulgativa è estremamente pericoloso. Per te è una metafora. Per chi ti ascolta diviene un'analogia. E chi ti ascolta ha ragione! Sei tu che hai dimenticato di dirgli che la metafora è solo una metafora e che, in verità, non significa nulla.
Quando tu scrivi un libro, quello che scrivi è ciò che arriva al lettore. Non hai modo di correggere le informazioni.
Per la verità, non hai modo di correggerle nemmeno in una conferenza. L'auditorium è fatto da non esperti. Loro non si sono nemmeno accorti che la tua metafora nasconde insidie. Quindi, non hanno nemmeno proposto domande che potessero far capire al relatore che c'era stato un grave errore di comprensione.
Per capire che ho ragione, ti basta andare a leggere i commenti che sono apparsi nel forum da cui hai prelevato il post. Nessuno si è accorto di nulla. Il che vuol dire che nessuno ha capito nulla!
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